policoro
  Ginevra
 
Rientrati in città, Artù e i suoi cavalieri ricevettero la più entusiastica delle accoglienze: al loro passaggio la gente, assiepata ai bordi delle strade, lanciava grida di evviva, mentre le campane suonavano a festa e nel palazzo reale si preparava un grande banchetto. Ma la gioia più viva che il giovane sovrano provò in quella occasione fu il trattamento riservatogli da Ginevra, l'unica figlia del re Leodagan.
Era costei una fanciulla di straordinaria bellezza, alta e ben proporzionata nel corpo, con i lineamenti assai piacevoli e di carnagione chiarissima. Pari alla bellezza erano le sue virtù morali: essa era infatti modesta e gentile, nonostante fosse figlia di re, e ogni parola rivelava intelligenza e brio. Quando Artù ritornò al palazzo, Ginevra gli andò incontro e, pregatolo di sedere, fece venire dell'acqua calda in un bacile d'argento, quindi gli lavò il viso, lo asciugò lievemente con una candida salvietta e gli pose sulle spalle un nuovo mantello. Durante il banchetto fu lei a servirgli il vino nella coppa, rimanendo poi in ginocchio al suo fianco; in attesa che egli l'avesse vuotata. Artù ne era talmente affascinato che trascurava il cibo e non sapeva staccare gli occhi da lei. Nessuno si accorse del suo comportamento, a causa della grande animazione che regnava nella sala, tranne Ginevra stessa, che con tono divertito gli disse: Suvvia, mangiate e bevete, cavaliere: a tavola siete certo più distratto di quanto non siate sul campo di battaglia. Un vivo rossore si diffuse sulle guance del giovane, che si sentì colto in fallo. Tuttavia, a onor del vero bisogna riconoscere che anche la fanciulla non faceva altro che fissare di nascosto il volto ben disegnato e gli occhi mobili e profondi dello sconosciuto cavaliere. Qualche giorno dopo, mentre ancora i protagonisti della terribile battaglia si stavano riposando dalle fatiche sostenute, Leodagan, vedendo Artù, Ban, Bohor e Merlino che conversavano tra loro, si avvicinò e disse: Amici, voi non sapete quanto vi sia affezionato; io vi devo tutto: il trono, la mia vita e quella della mia famiglia. Una sola cosa mi rattrista: non conoscere il nome di coloro ai quali io sono debitore di così grandi doni. Merlino, pur colpito dalla sincera tristezza di quelle parole, non volle ancora rivelargli la verità, pertanto si limitò a rispondere:

È la sete di avventura che ci spinge a girare il mondo, ma è anche il desiderio trovare una donna che sia degna di diventare moglie del nostro giovane amico. Perché dunque cercate ancora? Nessuna fanciulla è più degna di mia figlia ed io sono ben felice di concedergliela in sposa, pur senza sapere chi egli sia. Alla mia morte avrà le mie ricchezze e il mio regno, poiché io non ho altri figli. Così sia approvò Merlino. Artù non aveva ancora parlato, ma l'espressione del suo volto diceva più di mille discorsi. Venne allora chiamato il vescovo della città, alla presenza del quale fu celebrato il fidanzamento: Leodagan pose la mano di Ginevra in quella del giovane, che la strinse, con dolcezza. Merlino si rivolse quindi al padre della fanciulla con tono solenne: Signore, sappiate che l'uomo al quale avete promesso la vostra unica figlia è ben degno del vostro alto lignaggio: egli è Artù, figlio di Uter Pendragon, legittimo re della Grande Bretagna.
La gioia di Leodagan fu immensa, così come quella di Ginevra. Qualche giorno più tardi, mentre si discuteva della data più opportuna per la celebrazione delle nozze, Merlino ricordò ai presenti che esse non potevano avere luogo fino a che la Bretagna non fosse stata liberata dal grande pericolo che incombeva su di essa. Il mago, che come al solito sapeva ciò che agli altri era sconosciuto, rivelò a tutti che in quel preciso istante il regno di Bretagna era devastato dagli invasori Sassoni, che, giunti dal mare numerosi come le foglie d'autunno, incontravano ben poca resistenza, dal momento che i migliori cavalieri erano al seguito di Artù. Questi si sarebbe dovuto recare subito in soccorso della sua terra per porre fine alle sofferenze di un popolo che stava perdendo ormai ogni speranza di salvezza. Grande fu il disappunto di Ginevra, che tuttavia non lasciò trapelare i suoi sentimenti.

Tutti riconobbero l'avvedutezza del consiglio di Merlino, sicché venne deciso che la partenza avesse luogo il giorno successivo. L'indomani, di buon'ora, Ginevra si recò dal fidanzato e lo aiutò ad armarsi. Terminata l'opera, il giovane le trattenne le mani e la guardò con dolcezza, poi le disse: Strano destino il nostro, di doverci lasciare appena incontrati: ma vi è qualcosa, che voi mi darete, che mi aiuterà a ricordarvi quando sarò lontano. Quale dono potrà essere così prezioso domandò la fanciulla. Artù, senza parlare, l'attirò verso di sé e le sfiorò la bocca con un tenero bacio, che Ginevra ricambiò con grande trasporto. Il suono delle trombe, nella piazza, annunciava che era giunta l'ora della partenza.
 
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