policoro
  Carohaise
 
Il re non ebbe molto tempo per gustare la vittoria, poiché una nuova impresa lo attendeva. Un giorno Merlino venne da lui e gli disse: Signore, mentre noi siamo qui in ozio, una terribile ingiustizia si sta commettendo: Leodagan, il buon re di Carmelide, verrà presto assalito dai suoi nemici che vogliono sottrargli il regno. Per compiere questa infamia si sono riuniti tre dei più potenti sovrani della terra: Claudas, re della Terra Deserta, Frollo, duca di Alemagna, e lo stesso Giulio Cesare, imperatore di Roma. Permetterete voi che Leodagan sia costretto a combattere da solo contro tanti nemici. No di certo, mio buon Merlino rispose Artù; se Dio ci aiuterà, Leodagan conserverà il suo trono. Accettate ancora un consiglio oggiunse il mago: portate con voi i due valorosi fratelli Ban di Benoic e Bohor di Gannes.
Essi saranno felici di servirvi e la loro spada vi renderà grandi servigi. Farò come dici. Domani stesso invierò i messaggeri e cominceranno i preparativi per la partenza. Come Merlino aveva previsto, Ban e Bohor si dichiararono ben lieti di partecipare all'impresa e subito accorsero alla chiamata del re. Qualche settimana più tardi, Artù, accompagnato da Merlino e da una quarantina di cavalieri fra i più valorosi delle sue terre, entrava in Carohaise, la capitale del regno di Carmelide. Leodagan li accolse con grande onore e domandò chi fossero. Rispose per tutti Ban, che sapeva parlare in modo assai appropriato: " Sire, siamo qui per porgervi il nostro aiuto; una sola cosa chiediamo in cambio: non domandate il nostro nome". Leodagan accettò di buon grado l'offerta degli sconosciuti cavalieri e li ospitò con grande magnificenza. Pochi giorni più tardi gli eserciti nemici apparvero davanti alle mura della città. Le loro schiere formavano una distesa infinita e sembrava che una selva di lance cingesse tutto l'orizzonte: mai si era vista un'armata così potente! Per nulla intimorito dal numero e dalla forza degli avversari, il re diede ordine ai suoi soldati di prepararsi al combattimento, ma prima ancora che le truppe di Leodagan fossero pronte, Artù e i suoi compagni si scagliarono contro gli Alemanni, che erano più vicini alle mura. Allorché la due schiere furono di fronte, Merlino soffiò con forza in un suo fischietto e subito un vento fortissimo sollevò un turbine di polvere contro i nemici, accecandoli. Favoriti dalla magia, i cavalieri di Artù sconvolsero le file avversarie e compirono una strage, annientando chi osava opporsi loro.

Ma gli Alemanni erano guerrieri assai coraggiosi, e, dopo l'iniziale sbandamento, seguirono compatti il duca Frollo, che roteando una pesantissima mazza di rame li incitava a resistere. La mischia si fece furibonda. Nel frattempo Leodagan, per non apparire meno prode dei suoi alleati, divise il proprio esercito in due schiere e lo lanciò contro i nemici. Al luogotenente Cleodalis affidò il comando della prima, che affrontò i Romani, mentre egli stesso, a capo della seconda, si diresse con grande impeto contro il temibile Claudas. La battaglia si protrasse per alcune ore senza che nessuna delle due parti riuscisse a prevalere, poi lentamente i Romani, guidati dall'erculeo Ponzio Antonio, cominciarono a guadagnare terreno. Anche le truppe di Claudas finirono per avere la meglio, sicchè l'ìntero esercito di Carmelide fischiava di soccornbere. Fu allora che Merlino, il quale grazie alle sue conoscenze magiche era sempre informato di tutto, disse ad Artù: Sire, se non interverrete presto in soccorso di Leodagan, la battaglia sarà perduta. Immediatamente il re si precipitò contro i romani, mettendoli in fuga. Ponzio Antonio, non potendo tollerare che un pugno di uomini sconfiggesse l'esercito più potente del mondo, si parò dinanzi ad Artù deciso ad ucciderlo. Ban, che era al fianco del suo sovrano, cercò di trattenerlo dicendogli: Signore, siete ancora troppo giovane e piccolo per affrontare un simile avversario. Lasciate che sia io ad abbatterlo. Ma Artù, per nulla intimorito, replicò: Come potrei sapere quanto valgo se non affrontassi i guerrieri più forti. Quindi, spingendo con grande forza gli sproni nei fianchi del cavallo, fino a farli sanguinare, si gettò sul comandante romano, che inutilmente sollevò lo scudo per proteggersi: la lancia del giovane re trapassò lo scudo e tutto il corpo di Ponzio Antonio, che si abbatté al suolo privo di vita. Visto che il suo signore non aveva bisogno di aiuto, San andò alla ricerca di Claudas, suo vecchio nemico, per regolare i conti con lui, una volta per tutte. Trovatolo, lo colpì sull'elmo con tutta la sua forza, disarcionandolo, poi si apprestò a finirlo, ma i soldati di Claudas riuscirono a interporsi fra lui e il corpo esanime del loro re, che fu così salvato. La sconfitta di due dei loro capi demoralizzò i nemici, che cominciarono a ritirarsi lentamente, finché, incalzati dai guerrieri di Carmelide e dai cavalieri di Artù, la loro ritirata divenne fuga scomposta. La scena era terribile: il sangue tingeva i campi, mentre mucchi di cadaveri con il corpo mutilato e con i visi stravolti in una smorfia di dolore o di rabbia ostacolavano la corsa dei combattenti, che vibravano colpi potenti o alzavano gli scudi a proteggersi in una sorta di macabra danza. Anche gli Alemanni, che fino ad allora avevano resistito gagliardamente, furono presi dal panico e, temendo di essere completamente accerchiati, fuggirono in disordine, incalzati dai nemici che ne facevano strage. L'ultimo a lasciare il terreno fu il duca Frollo, che con la sua statura gigantesca e la sua forza immane faceva il vuoto attorno a sé. Lo vide Artù, che volle affrontarlo per misurare il proprio valore. Frollo impugnava con incredibile facilità la sua mazza di rame, così pesante che ben pochi uomini avrebbero saputo sollevarla; Artù protendeva una robusta lancia. Al primo scontro il giovane re trapassò la spalla dell'avversario, che non se ne curò affatto e proseguì la lotta come se nulla fosse accaduto.

Frollo tentò poi di colpire con la mazza, ma, fallito il bersaglio, si sbilanciò e cadde a terra trascinando con sé il nemico a cui si era aggrappato. Artù, più agile e leggero, fu il primo a rialzarsi e, impugnata Excalibur, cominciò a colpire. Al primo colpo, la mazza del duca alemanno venne spezzata ed egli estrasse allora Marmiadoise, la spada che Ercole ebbe al suo fianco in molte delle sue imprese. Marmiadoise splendeva come fosse di diamante, sicché per qualche attimo Artù rimase a guardarla affascinato. Ma subito Frollo calò un fendente terribile che, se fosse giunto a segno, avrebbe tagliato a metà l'avversario. Questi, però, con un rapido balzò seppe scansarsi per colpire a sua volta. Il duca fu raggiunto all'occhio destro e cominciò a perdere copiosamente sangue. Sarebbe stato ucciso di certo se, proprio in quel momento, non fosse sopraggiunto un gruppo di guerrieri che ancora lottavano tenacemente. Approfittando dell'improvviso tumulto, egli salì in groppa al suo cavallo per riprendere lo scontro, ma Artù lo raggiunse con un nuovo fendente sul braccio, facendogli cadere Marmiadoise. Frollo, stordito, si accasciò sulla sella e questo gli salvò la vita perché il cavallo, spaventato, si impennò e prese il galoppo, riportandolo tra la sua gente. La battaglia era vinta e Artù ne aveva ricavato un premio insperato, essendosi impadronito di Marmiadoise, una delle spade più belle che si fossero mai viste al mondo, degna di reggere il paragone con la stessa Excalibur.
 
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