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Mike era un bambino pieno di rabbia. Sebbene avesse soltanto sette anni, il suo cuore e la sua mente portavano il peso dei problemi da adulto causati dal matrimonio infelice dei genitori e dalla tensione che regnava a casa. Pensava che fosse tutta colpa sua, e niente di quello che faceva riusciva a rendere suo padre meno nervoso o sua madre meno triste e distante.
Essendo la sua maestra di seconda elementare, vedevo come quei sentimenti contrastanti si riflettevano nel comportamento irrequieto che aveva in classe. La cosa peggiore che faceva Mike era scrivere parolacce su foglietti che poi lasciava sopra i banchi dei compagni, specialmente quelli delle bambine. Dato che in seconda elementare la maggior parte dei bambini riesce a leggere, molti degli alunni che ricevevano i bigliettini di Mike capivano quelle parole e si sentivano offesi. In quelle occasioni correvano da me inorriditi o in lacrime dicendo: Guardi cosa ho trovato sul banco. Mike non firmava mai i suoi biglietti, ma non ci volle molto a capire che venivano tutti da lui. Però lui si ostinava a negare di averli scritti. Come insegnante avevo a disposizione diverse possibilità. Avrei potuto mandarlo fuori dalla classe, mandarlo dal preside, sgridarlo ogni volta che saltava fuori un nuovo biglietto. Oppure avrei potuto usare un approccio che gli permettesse di esprimere i suoi sentimenti senza offendere nessuno dei compagni, soprattutto perché stava già allontanando i pochi amici che gli erano rimasti in classe. Un giorno, dopo che mi venne consegnato un altro brutto biglietto, chiesi a Mike di venire da me.
Lo feci sedere sulle mie ginocchia e lo strinsi forte tra le braccia. All'inizio si divincolò per liberarsi, ma io lo strinsi più forte e cominciai a parlargli dolcemente. Gli dissi che ed un gran bel bambino e che pensavo fosse molto preoccupato per qualcosa che non sapevo. Voleva dirmi cos'era. Ma lui si dimenava sempre di più finché il suo dimenarsi si trasformò in una lotta furiosa. Nel corso dei miei studi avevo imparato qualcosa sulle cosiddette tecniche dell' abbraccio e pensai che avrei dovuto continuare a stringere Mike nonostante la sua rabbia. Così continuai a stringerlo con dolcezza ma fermamente. Dopo qualche minuto smise di dimenarsi e cominciò a singhiozzare. Si rannicchiò tra le mie braccia come un cucciolo che vuole essere coccolato e amato. Non mi disse cos' era che lo preoccupava ma confessò che era lui l'autore dei biglietti. Il giorno dopo consegnai a Mike una scatola con una fessura sul coperchio. Gli dissi che quella era la Scatola delle parole cattive di Mike, e che poteva scrivere tutte le parolacce che voleva durante la giornata purché mettesse i biglietti in quella scatola. Nessun altro bambino poteva mettere niente nella scatola.
La scatola era tutta sua, purché mettesse lì dentro tutti i biglietti cattivi che scriveva e non li mettesse in nessun altro posto. Se mi fossi accorta che aveva violato quella regola e che aveva dato a qualcun altro uno dei suoi biglietti, la scatola non sarebbe stata più sua. Da quel momento Mike riempiva ogni giorno la scatola di biglietti su cui scriveva cose orribili e cattive. Due settimane dopo venne da me e mi chiese se poteva sedersi sulle mie ginocchia. Una volta seduto mi chiese se c'era qualche lavoro che potesse fare in classe. Così gli assegnai due o tre lavoretti che non rientravano tra i compiti dei bidelli e gli chiesi di svolgerli tutti i giorni. Ogni volta che finiva un lavoro mi complimentavo con lui, gli dicevo che aveva fatto un bel lavoro e che mi era stato di grande aiuto. Di lì a poco il numero dei biglietti cattivi nella scatola diminuì.
Piano piano diventavano sempre meno finché non ci furono più brutte parole nella scatola. Non so se i genitori di Mike abbiano mai risolto i loro problemi. Comunque so che ascoltare attentamente la supplica silenziosa di Mike, dargli l'opportunità di esprimere le emozioni che non poteva sfogare in nessun altro modo, incoraggiarlo nelle cose che faceva bene, erano state tutte cose che avevano contribuito a farlo sentire al sicuro in classe.
Per lui la nostra classe diventò un luogo dove la rabbia non era necessaria e dove poteva tornare giorno dopo giorno per dare e ricevere amore.
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