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  Natale nei Balcani
 
Caratteristica delle regioni balcaniche è la presenza di un frastagliato mosaico di confessioni religiose e culture diverse che ha prodotto un folklore ricco e vario, scandito da musiche allegre e coinvolgenti, che offrono spesso lo spunto per danze. Per quanto riguarda le tradizioni di fine d'anno, si possono individuare alcune costanti, che nei secoli hanno subito un processo di cristianizzazione ma che risalgono a tempi remoti. In tutte le regioni della ex Jugoslavia le celebrazioni del Natale sono riferite ad un particolare culto degli alberi che, manifestandosi in varie forme, testimonia uno stretto rapporto con la natura, indice di una società contadina e pastorale ricca ed articolata. Una tradizione attestata in tutta la penisola balcanica, dalla Dalmazia alla Macedonia, riguarda i famosi bandjaci. Il termine, che si riferisce all' area semantica del verbo slavo bdijeti, vigilare, indica i tre ceppi di Natale che si pongono ad ardere nei giorni che vanno dal Natale al Capodanno.
Di tre diverse misure, in alcune zone sono chiamati anche Re Magi o sono identificati con la Sacra Famiglia. In alcuni casi, come accadeva ad esempio in Bosnia fino a qualche anno fa, i bandjaci si ricavavano da un enorme tronco, condotto in casa da un carretto trainato da buoi che uscivano dalla porta opposta a quella d'ingresso. Al calar del sole, ancora oggi ha inizio un complicato rituale intorno al quale si stringe tutta la famiglia: gli uomini accostano al camino i tronchetti con tre scosse, a ciascuna delle quali seguono preghiere e scambi di auguri, quindi li aspergono di acqua santa. Finalmente accendono il fuoco e vi gettano sopra manciate di grano. A tavola, ognuno ha un cero con cui celebra la nascita di Cristo; al termine delle orazioni, il più anziano fra i presenti raduna tutti i ceri in un unico fascio che simboleggia la concordia e dà il via al pranzo. Come centrotavola, si utilizzano vasi di grano decorati con rametti di abete, bosso ed arancio, e una speciale composizione formata da tre ciambelle legate assieme da una striscia di pasta su cui sono figurati vari soggetti. In altre regioni era l'intera famiglia che il giorno della vigilia, prima che sorgesse il sole, si recava nel bosco per cercare una quercia rossa. Dopo averla baciata, la abbattevano, facendo attenzione a colpirla con la scure solo da un lato. Il più piccolo fra i presenti doveva afferrare al volo il primo ramo che cadeva dall'albero e conservarlo per metterlo poi nel latte perché la panna fosse più spessa e nel miele perché diventasse più dolce. Il tronco veniva trasportato in casa in una sorta di processione familiare che si svolgeva al lume di candela; qui, ridotto in ceppi e decorato con foglie, fiori e rami di alloro e agrifoglio, era posto nel focolare. Veniva cosparso di grano e vino e, in alcuni luoghi, di miele. Quest' operazione spettava quasi sempre al più anziano o, in sua vece, ad un altro uomo; egli rendeva grazie a Gesù Bambino per i doni ricevuti durante l'anno e appiccava il fuoco che doveva rimanere acceso fino all'indomani. Particolarmente temute in Serbia sono le dodici notti che vanno dal Natale all'Epifania, qui chiamate nekrsten dani, ossia giorni non battezzati. Esse vengono spiegate come la trasposizione simbolica del periodo che intercorre tra la nascita e il battesimo di un bambino e del complesso di rischi che quel periodo, in cui il neonato è ancora privo della protezione magica, comporta. Nelle dodici notti le strade sono animate da spiriti potenzialmente dannosi, contro le cui malefiche influenze la cultura tradizionale ha investito da sempre energie nell' escogitare rimedi. Anche in Grecia le dodici notti sono popolate da strane figure. In questo Paese, le festività sono venate di componenti più diversi: alle reminiscenze classiche, si uniscono echi della civiltà turca e del mondo cristiano, della civiltà romana e di quelle slave. La notte di Natale, dal cuore profondo della terra, emergono piccoli e pelosi esserini, dagli occhi rossi e strabici, diretti discendenti degli antichi satiri. I kalikanzaroi, questo il loro nome, hanno, al pari dei più noti progenitori, già integrati al seguito di Dioniso, metà del corpo d'aspetto equino, o caprino o d'altra specie animale. Sono ricordati con processioni e brevi manifestazioni teatrali, caratterizzate da un frastuono assordante prodotto con ogni specie di strumento.Queste mascherate, in cui vengono esposti in vario modo attributi afferenti alla fecondità della terra, richiamano per molti versi l'antico dramma satiresco ed hanno lo scopo di tenere lontano, onorandoli, i folletti. Di carattere indisponente ma mai maligni, i kalikanzaroi fanno però paura poiché li si ritiene capaci di compiere passionali rapimenti ai danni delle giovani ragazze. Per fare fronte al temuto ratto, sarà premura di tutte le fanciulle porre dietro la porta di casa una mascella di maiale o spargere del sale sulla legna messa ad ardere nel camino. Tali pratiche, invise ai mostriciattoli, oltre ad una fetta della torta natalizia messa in bella posta sul tetto di casa, dovrebbero assicurare alle ragazze greche sonni tranquilli, almeno fino al Natale successivo, tempo in cui i folletti torneranno alla carica. Il periodo di influenza dei kalikanzaroi ha termine con l'Epifania, giornata in cui il pope la religione più seguita in Grecia è il credo cristiano ortodosso li mette in fuga aspergendoli di acqua santa. L acqua è un elemento che permette di porre in relazione le tradizioni dei vari Paesi balcanici. È protagonista di numerosi riti, specie in Albania, dove peraltro si possono identificare tre ampie regioni culturali che corrispondono grosso modo alle tre principali confessioni religiose. Se gli abitanti del Nord del Paese sono prevalentemente cattolici, al Sud seguono il Cristianesimo greco ortodosso, e nella zona centrale la maggioranza è musulmana. Nelle città come Tirana o Valona, queste distinzioni non hanno più valore: negli uffici, nelle scuole, nei rapporti di vicinato, avviene un continuo scambio fra le tre tradizioni religiose e familiari. Non stupisce trovare in casa di musulmani l'albero di Natale, diffuso dappertutto, soprattutto per Capodanno. Anche se durante i cinquanta anni di comunismo i culti religiosi sono stati ostacolati, molti riti sono sopravvissuti, spesso tramandati nel segreto. In altri casi, invece, sono andati perduti, caduti nel dimenticatoio o vissuti come vuote superstizioni, retaggio di una società ormai antiquata. I Riformatori cattolici del Nord svolgono da anni tentativi di evangelizzazione e cercano di creare una tradizione, cui dare giustificazioni ed origini più amiche dell' avvento del comunismo avvenuto nel 1928. Essi risalgono al tempo di Skanderberg, l'eroe nazionale albanese, quando la religione più diffusa nel paese era il Cristianesimo; quel tempo costituisce oggi un serbatoio di ricordi, riti e miti cui rifarsi per raccontare e ricreare le feste natalizie albanesi. Allora, ad esempio, tutte le donne cattoliche osservavano un rito oggi caduto in disuso: il giorno dell'Epifania, prima di lasciare la chiesa dove avevano appena assistito alla messa, le più anziane riempivano delle bottiglie con l'acqua benedetta dal prete. Uscivano quindi di furia, attente all' arrivo delle più giovani e, aiutate da qualche ragazzo, aspergevano le ultime arrivate con l'acqua santa. Altra tradizione ormai quasi ovunque desueta, che riguarda però i fedeli greco ortodossi e che continua ad avere largo seguito in Grecia, è la benedizione delle acque.
Il celebrante santifica le acque, marine, lacustri o fluviali che siano, e vi immerge una croce che verrà poco dopo recuperata dal più abile dei numerosi giovani i quali, pronti al suono delle campane che accompagna il gesto dell' officiante, si saranno tuffati in acqua. Il ciclo delle feste di fine ed inizio anno si conclude ovunque con l'Epifania. Ha però un seguito, nel Nord della Grecia, con una curiosa ed interessante cerimonia che poco ha a che fare direttamente col Natale e il Capodanno, ma che ne ricalca alcune funzioni essenziali: l'8 gennaio, le donne abbandonano le abituali occupazioni domestiche, per darsi, almeno per una giornata all'anno, ai divertimenti. In questo rito di rovesciamento, che vede gli uomini per una volta ai fornelli, si intravvedono origini colte. L'ispirazione è forse anche nel teatro classico, in cui non sono rari personaggi femminili di grande personalità: come Lisistrata, che riunì tutte le donne di Grecia in uno sciopero contro i mariti, e le invitò  finché non si fosse conclusa la pace tra i popoli della regione. La gastronomia dei giorni di festa riflette la commistione fra le diverse culture presenti sul territorio. Nelle zone dell'ex Jugoslavia il piatto tradizionale natalizio è quasi ovunque il picak, montone cotto "all' america", ossia infilzato in un grosso spiedo e arrostito all' aperto. In diverse località, però, il pranzo del 25 prevede un porcellino da latte cotto allo spiedo ed insaporito da un ripieno di mele. La bachlavà, dolce rubato alla tradizione islamica, fa ormai parte a pieno titolo del menu delle celebrazioni natalizie e di fine anno. In Serbia come in Albania è diffusissima, malgrado il lungo lavoro richiesto per la sua esecuzione.
 
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