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Viveva, tanto tempo fa, in un paese lontano, un uomo molto potente e crudele. Era un principe. Abitava in un castello arroccato su un colle, circondato da tre giri di mura, due fossati, sei ponti levatoi e un fiume profondo, che era stato deviato per meglio difendere il castello. Aveva combattuto tutta la vita, aveva conquistato tanto, aveva nei suoi forzieri più ricchezze di quante se ne possano immaginare e nelle sue prigioni più nemici di quanti ne potessero contenere: era potentissimo, ricchissimo e infelice. Di questo non si dava pace. Non capiva perché, quando spuntava il giorno e le sentinelle annunciavano l'aurora, lui fosse preso da una specie di paura. Perché il canto degli uccelli gli mettesse tristezza e l'allegria dei bambini lo riempisse di rabbia.
Aveva consultato sapienti di ogni tipo, aveva fatto cacciare tutti gli uccelli dei dintorni, aveva allontanato i bambini dalla sua presenza; ma non poteva impedire al sole di tornare ogni giorno e di portare la luce. Questo non gli riusciva. Ed era sempre pieno di rabbia e di paura. Per distrarsi faceva le guerre e, quando non aveva niente da fare, usciva la notte in groppa a un cavallo nero: percorreva i boschi e le pianure che circondavano il suo castello, ora qua, ora là, ma rientrava sempre prima dell' alba. Quando il cielo si faceva più chiaro e l'ultima stella impallidiva, si vedeva il principe cavalcare furiosamente sulla via del ritorno, come se fosse inseguito da misteriosi fantasmi. Ma in una notte molto buia smarrì la strada e quando spuntò il sole il principe si ritrovò in una radura, dove un uomo tutto solo spaccava la legna, fischiettando. Buongiorno, disse al principe senza riconoscerlo. Sai chi sono io chiese allora il principe. L'uomo fece cenno di no e il principe glielo disse. Si aspettava che quello s'inchinasse o arretrasse spaventato, come facevano tutti alla sua presenza, invece l'uomo continuò a lavorare e a fischiettare. Non hai paura di me chiese il principe. E perché dovrei averne rispose l'uomo. Non ho fatto niente di male e poi ho un angelo che mi protegge. In un altro momento il principe avrebbe frustato di suo pugno un uomo cosi arrogante, ma il giorno avanzava e lui aveva fretta di ritornare al castello, dove solo si sentiva al sicuro. Spronò quindi il cavallo e fuggì via. Ma quando fu nella sua dimora, protetta da mura, torri e ponti levatoi, cominciò a pensare all'uomo che nel bosco fischiettava e non aveva paura, e a non darsi pace. Perché lui, che aveva vinto tante guerre e fatto tanti prigionieri, era pieno di paura, e l'altro no. Che fosse tutto merito dell' angelo.
E subito diede ordine alle sue guardie di andare nel bosco, trovare l'uomo e condurlo da lui. Dammi l'angelo che ti protegge e io ti lascerò libero, gli ordinò. L'altro gli sorrise. E che te ne fai di un angelo Gli angeli amano l'aria aperta, vogliono essere liberi; stanno bene sugli alberi, sui tetti delle case o sulle torri. Un angelo qui dentro Tra queste mura? Non potrebbe resistere, volerebbe via. Udita la risposta, le guardie e i cortigiani guardavano il principe, in attesa. Per tanta audacia la morte era sicura. Ma il principe, che più di ogni altra cosa voleva vincere quella paura orrenda che ogni giorno diventava più grande e misteriosa, non fece caso alla risposta. Dammi l'angelo che ti protegge e costruirò per lui una torre d'oro e d'argento, senza finestre né porte, e la riempirò di cuscini di damasco e di broccati, dove possa riposare. Cuscini di damasco. E cosa se ne fa un angelo Gli angeli hanno già le nuvole, il fumo dei camini, le nebbie, i vapori dell' alba. Sui tuoi cuscini non resisterebbe, volerebbe via. Lo farò ministro, capo delle mie guardie. Starà accanto a me, sempre, dovunque. L'uomo sorrise ancora. Si, gli angeli fanno questo. Ma tu hai già tanta gente attorno. Accanto a te non resisterebbe, volerebbe via. Allora il principe perse la pazienza. Alzò la mano e ordinò alle guardie: In gabbia Nella gabbia sulla torre grande, al sole, al vento e alla pioggia Senza cibo né acqua; vediamo cosa farà il suo angelo per lui L'uomo fu rinchiuso nella gabbia e là dimenticato. Dapprincipio cantava e fischiettava, e il principe, quando usciva nella notte e sentiva la sua voce per i boschi e le valli, moriva di paura. Finì per non uscire più, e giorno e notte si chiuse nel castello. Finché un giorno non si senti più né il fischio né il canto dell'uomo prigioniero e il principe respirò sollevato. Finalmente disse, e ordinò alle guardie di andare a vedere se l'uomo era morto. Non trovarono niente e nessuno: la gabbia era chiusa e vuota, come se non fosse stata mai occupata. Subito si sparse la voce che il prigioniero era un angelo.
Il principe morì di terrore e il suo grande dominio andò in rovina. Vennero altri a conquistare le sue terre e a fare prigionieri, il castello fu assalito, le torri abbattute, il fiume si seccò. Oggi di quel gran castello non è rimasto niente, solo una roccia nera piena di fessure, con qualche cespuglio aggrappato. Anche la gabbia non esiste più. Ma la notte, quando tutto è calmo e non soffia vento, si sente tra le pieghe della terra un fischio modulato e sottile. Chi dice che è un uccello, chi dice che l'angelo è tornato.
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