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Un bambino aveva ricevuto in dono un uccellino dalle piume colorate che cantava in modo meraviglioso. Era un uccellino di gran pregio e, per evitare che volasse via, l'avevano rinchiuso in una gabbia dorata, che ora stava appesa a una finestra. Il bambino era malato, non poteva camminare e passava molte ore davanti a quella finestra, ad ascoltare il canto dell'uccellino e a guardare l'esterno. Vedeva la piazza della città, circondata da palazzi nobili e severi, al centro la statua di un condottiero a cavallo che pareva sempre sul punto di marciare ed era sempre immobile, e poi, di fronte, la cattedrale. La cattedrale era grande e antica, costruita in pietra rosa, che al tramonto s'accendeva come fuoco. Aveva sulla facciata una finestra circolare, un rosone bianco e prezioso; e sopra questo rosone, su una mensola di pietra, c'era l'angelo. Non era un angelo bello, di quelli che lasciano incantati, era piuttosto un angelo curioso e malandato, di pietra grigia e sporca, senz' ali e con un dito mozzo.
A dire il vero non sembrava un angelo e molti si chiedevano che cosa fosse. Ma sorrideva in un certo modo ed era sicuramente un angelo. Gli angeli, infatti, non si riconoscono dalle ali né dalla veste; nemmeno dalla luce, specie ora che le luci sono tante. Gli angeli si riconoscono dal sorriso. Il sorriso degli angeli non è come quello degli uomini: è lungo, obliquo, simile al sorriso dei bambini quando dormono. Gli angeli sorridono sempre, anche quelli di pietra, ma è raro che qualcuno se ne accorga. Solo il bambino, che stava tante ore alla finestra, aveva visto il sorriso dell' angelo senz' ali e senza dito, ma non sapeva che fosse un angelo. Degli angeli non aveva sentito mai parlare. Un giorno la gabbia che rinchiudeva l'uccellino rimase aperta per una distrazione e l'uccellino volò via. Attraversò la piazza, si posò sulla statua, poi si diresse verso la cattedrale, girò intorno al rosone e si fermò sull'angelo. Il bambino gridò, cercò di afferrarlo, ma inutilmente. Vedeva le sue piume colorate diventare sempre più scure per la lontananza e si disperava. Nessuno riusciva a consolarlo. Venne la sera e il bambino non volle lasciare la finestra. Al tramonto la cattedrale s'accese di rosso, come sempre, il marmo bianco del rosone scintillò e l'uccellino sulla statua diventò un piccolo punto scuro senza forma. Poi calò la notte e tutto si confuse. S'accesero i lampioni e sulla piazza solo la statua del condottiero continuava a promettere partenze sempre rinviate. Anche la cattedrale riposava nell' ombra, ma il bambino restava alla finestra. Vegliò tutta la notte e nessuno riuscì a convincerlo ad andare a dormire. Finché all' alba, vinto dalla stanchezza, s'addormentò. Si risvegliò ch' era giorno fatto, la piazza era piena di luce, la statua del condottiero come sempre immobile, e nella gabbietta dorata l'uccellino stava al suo posto, come sempre. Ma sulla mensola della cattedrale l'angelo di pietra non c'era più. Nessuno seppe dire dove fosse finita quella statua grigia e monca e, per quanto la cercassero, nessuno la trovò.
Solo il bambino sapeva,perché l'aveva visto in sogno, che l'angelo aveva rinunciato ad essere angelo, per diventare l'uccellino colorato che ora nella gabbia, aveva preso a cantare.Quando il bambino guarì, aprì la gabbia e diede la libertà al prigioniero; poi corse a giocare con gli amici. Ed ecco che la statua dell' angelo riapparve sulla mensola della cattedrale, col suo dito mozzo e il misterioso sorriso, a guardare i bambini che si rincorrevano sulla piazza e il condottiero a cavallo, sempre sul punto di marciare e sempre fermo.
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