policoro
  L'angelo che aveva perso la voce
 
Un angelo, dopo avere a lungo volato, si fermò su una nuvola per riposare e si mise a guardare la terra, com' è abitudine degli angeli. E come fanno gli angeli, quando guardano dall' alto, si sistemò a testa in giù: una posizione che essi trovano naturale e comodissima, e per di più estremamente panoramica. L'angelo in quel momento era particolarmente lieto, cosa che agli angeli capita molto spesso, e mentre guardava la terra incominciò a cantare. Cantava, a testa in giù, una melodia dolcissima e la sua voce si dipanava nel cielo come un fumo leggero e colorato, formando anelli, spirali e serpentine che si allungavano e si allungavano, mentre la melodia continuava. Ma ad un tratto, forse perché troppo preso dal suo canto, l'angelo perse l'equilibrio e, fffscscsc!, scivolò bruscamente verso il basso. Fu un attimo, meno di un secondo, il tempo di un battito di ciglia, poi l'angelo con un colpo d'ala si riprese: inarcò il corpo verso l'alto, fffscscsc!, e rioccupò il suo posto sulla nuvola. A testa in giù. Ma quando fece per cantare di nuovo, si accorse di non avere più la voce.

Quel brusco movimento aveva spezzato il fumo colorato e ora nel cielo, anelli, spirali e serpentine se ne andavano di qua e di là a loro piacimento. Oh, guarda disse l'angelo, e sorrise: si sollevò con calma, raccolse a uno a uno i pezzi della melodia e li rimise in ordine. Alcuni nodi invisibili, pochi tocchi leggeri e la melodia ondeggiava nell' aria come nuova. Un bellissimo fumo pieno di colori. Soddisfatto del suo lavoro, l'angelo si rimise a testa in giù e riprese a cantare. Ma quando arrivò nel punto più dolce e delicato, un suono orribile gli ferì le orecchie: un ich, un och e ancora un ich e un altro och. La melodia aveva il singhiozzo. Questa volta l'angelo si sollevò di scatto dalla sua posizione panoramica e, un poco spazientito, esaminò con attenzione il fumo. Contò i pezzi della melodia: quarantasette. Ma non erano cinquanta. Contò ancora. Si, ne mancavano tre. Non ancora convinto, l'angelo si rimise a testa in giù, si concentrò al massimo e ricominciò a cantare. Ma, arrivato al punto più dolce e delicato di nuovo il singhiozzo. Non c'era scampo: tre pezzi di meno e non poteva più cantare! Questo pensiero lo fece rabbrividire. Un angelo che non canta è come un violino senza corde, come un usignolo senza voce. Disperato, cominciò a cercare i tre pezzi della melodia in ogni parte del cielo, ma per quanto cercasse, non ne trovò traccia alcuna. Allora volò verso la terra e cominciò a percorrerla in lungo e in largo. Foreste, mari, continenti. Niente. Finalmente, passando a volo raso sopra una valle di montagna, vide un trenino che s'arrampicava, su su, come una lumaca lungo una parete. Tre carrozze e una locomotiva, vecchia e sbuffante, che ogni tanto lanciava un lungo fischio: un fischio e una sbuffata di fumo. Ma il fischio non era il solito fischio da locomotiva, era dolce, modulato, e il fumo, invece di essere grigio sporco e nero, era pieno di bellissimi colori. L'angelo frenò di colpo il volo e guardò più attentamente. Si, era proprio un pezzo della sua melodia quello che stava uscendo dal camino. Stupito che alle locomotive piacesse tanto la musica, l'angelo scese in picchiata sul trenino, ben deciso a riprendersi la sua voce.
Le tre carrozze erano piene di povera gente, che tornava a casa dopo una giornata di lavoro: c'erano minatori, contadini e massaie, che erano state l'intero giorno al mercato. Tutti dormivano, cullati dalla melodia, e facevano sogni bellissimi. L'angelo li guardò ed esitò un momento, poi disse: - Ma io debbo cantare, e si decise. Raccolse il fumo colorato, lo avvolse, ne fece una matassa e volò via. Subito i passeggeri del trenino si svegliarono, si guardarono attorno e senza i sogni si sentirono più poveri e stanchi. Ma l'angelo era ormai lontano. Passò su una città e vide una strada affollatissima, piena di negozi e di rumori. Era vicina una festa e c'erano luminarie dappertutto. Bancarelle, saltimbanchi. La gente usciva dai negozi carica di pacchi, ridendo, gridando. Sembrava felice. L'angelo si tappò le orecchie con le mani - tutto quel fracasso e accelerò il volo. In quel momento, su un albero carico di luci vide un pezzo della melodia, che era rimasto impigliato sulla cima e ondeggiava nell' aria come una coda di cometa. Nessuno, in quella confusione, l'aveva notata; solo un cieco, che all' angolo della strada chiedeva l'elemosina, aveva udito la melodia che scendeva dall' albero e l'ascoltava, rapito. L'angelo lo vide e fu tentato di proseguire il volo. Ma poi si ricordò del suono orribile del suo singhiozzo; allora si posò sull' albero, staccò la coda colorata, l'attaccò a un' ala e volò via. All' angolo della strada il cieco continuò a guardare in alto, inutilmente. La melodia era cessata, l'angelo era ormai lontano. Mancava un solo pezzo, un piccolo cerchio, quasi un punto. L'angelo lo ricordava bene: era quello che dava alla melodia un suono allegro e ritmato, di gocce sulle foglie. Tac tictoc tac. Certo non sarebbe stato facile trovarlo, piccolo com'era, ma senza quello non poteva cantare. E l'angelo continuò il suo volo. Ma del piccolo cerchio non si trovava traccia. Percorse tutta la terra palmo a palmo, volò sui luoghi più deserti e inospitali, dove nemmeno gli angeli amano passare, e quando non aveva più speranza sentì all'improvviso il suono che aveva tanto cercato: tac tic­toc tac. Guardò e vide una pianura desolata di roccia e sassi, che sembrava senza vita. E una fontanella al centro, scavata nella roccia, da cui usciva 
un filo d'acqua. Tac­tictoc tac! Ecco dov'era finito l'ultimo pezzo della melodia.
L'angelo planò con le sue ali bianche fino alla fontana e con due dita pescò nell' acqua il piccolo cerchio colorato, lo appoggiò sul palmo della mano e sospirò. La melodia adesso era completa. Tac. tic toc tac. La musica della fontana si spense e il filo d'acqua perse ogni voce. Divenne sempre più sottile, come malato. Finché fu solo qualche goccia. In quel momento arrivò una bambina, con un vaso per l'acqua sulla testa. Lo mise sotto la fontana e si sedette ad aspettare. Toc toc, faceva la goccia e il vaso restava vuoto. L'angelo guardò la bambina e il vaso vuoto, chiuse il palmo della mano e volò via. Arrivò sulla nuvola, si sistemò a testa in giù e cominciò a cantare. E la melodia si dipanò di nuovo nel cielo, formando cerchi, spirali e serpentine: un bellissimo fumo colorato. Ma l'angelo non era felice. Dalla nuvola vedeva la bambina che aspettava e il vaso che non si riempiva. Cambiò posizione, si sedette e riprese il canto. Ma continuava a non essere felice. Finalmente capì. Staccò dalla melodia il piccolo cerchio colorato, poi un altro e un altro ancora, e li buttò nella fontana. Allora l'acqua iniziò a scorrere, più abbondante di prima, la fontana ricominciò a cantare e il vaso della bambina si riempì di getto, fino all' orlo. Sulla nuvola, a testa in giù, l'angelo ascoltava beato la musica dell' acqua e si dondolava piano piano.
 
 
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