Quarta fase, perché questo tratto di strada che insieme vogliamo percorrere è quello che viene dopo un cammino lungo. Possiamo sintetizzare cosi:la prima fase è quella del popolarismo sturziano. La lunga preparazione del cattolicesimo italiano all’incontro con la democrazia; la stagione dell’intransigenza; l’elaborazione culturale di una proposta originale e dirompente, che avrebbe segnato un secolo di vita civile e politica. L’invenzione del partito politico d’ispirazione cristiano, laico e aconfessionale; il programma come perno di un impegno per la comunità. Poi la stagione della clandestinità, dell’esilio, della resistenza. In quella incubatrice i valori della ricostruzione democratica nella quale i cattolici avrebbero avuto un ruolo decisivo, di protagonisti.
E’ la seconda fase: quella della Democrazia cristiana, vissuta all’insegna dell’unità partitica dei cattolici italiani. Insieme per scelta e per necessità. Correnti di destra e di sinistra. Sinistra sociale e sinistra politica. Sensibilità diverse, storie diverse. A collegarle, a saldarle assieme, oltre tante contraddizioni e limiti, il tema della costruzione della democrazia italiana come lento e paziente processo di crescita. Di allargamento e di condivisione.
La terza fase è quella che si inaugura con il nuovo Ppi. E’ la stagione più drammatica e più difficile. Coincide con un paradosso apparentemente inspiegabile: il tramonto di una grande forza politica nel momento in cui la storia le dà ragione. La Dc ha esaurito il suo compito storico ma nessuno è in grado di raccogliere il frutto di una democrazia finalmente matura. Chi ne erediterà il potere non si mostrerà all’altezza di quel patrimonio di cultura politica. La fine dell’unità del partito avviene con il crollo dell’argine a destra, al quale le leadership democristiane – anche le più moderate – non avevano mai rinunciato, in nome di un antifascismo vissuto fin dall’inizio come elemento costitutivo e fondante del partito. Il bipolarismo italiano si inaugura con questo segno: la sostanziale sottomissione, a destra, di una grande parte dell’elettorato democratico cristiano ad una guida politica fondamentalmente estranea allo spirito e ai valori della democrazia costituzionale.
Sull’altro fronte si colloca la scelta dei Popolari. Non solo degli eredi delle sinistre democristiane, ma di coloro che non si rassegnano alla regressione verso una dialettica politica impostata sullo scontro e sulla replica di vecchi ideologismi che si pensavano definitivamente archiviati. La polarizzazione della lotta politica secondo lo schema comunismo/anticomunismo riporta indietro le lancette della storia e riconduce l’Italia al largo di una transizione che si pensava compiuta.
L’impegno dei Popolari è per la costruzione di un bipolarismo mite e civile. E’ per un’alternanza che sia davvero compimento di una democrazia finalmente matura. E’ per un’opposizione costituzionale che prepari l’alternativa nel segno di una più moderna cultura di governo, proponendo alla sinistra una sfida impegnativa e decisiva: rinunciare alla propria autosufficienza e riconoscere la necessità di un’apertura e di un incontro tra le forze democratiche che condividono gli stessi principi costituzionali.
E’ il tempo dell’Ulivo. A pensarlo, a costruirlo, a renderlo più radicato nel tessuto civile del paese lavorano, da protagonisti, i cattolici democratici. E’ un impegno che passa attraverso tappe diverse, che vede vittorie e sconfitte.
La stagione del secondo Ppi è segnata dalle une e dalle altre, e come accadde per la prima, la sua vita politica si consuma rapidamente. La terza fase si conclude con una scelta di portata storica: la rinuncia allo strumento partito di ispirazione cristiana e la decisione di investire ciò che resta di quella tradizione culturale e politica in un soggetto politico nuovo e più vasto