policoro
  Le fatiche di Ercole
 
Il matrimonio fra Giove e Giunone non fu mai tranquillo a causa delle continue scappatelle di lui e della smisurata gelosia di lei. La cosa che più di tutte faceva adirare Giunone era che il marito continuasse ad avere dei figli illegittimi i quali potevano minacciare i diritti e i privilegi riservati solamente alla sua prole. Una volta il re degli dei ebbe una relazione d'amore con Alcmena, la moglie del soldato Anfitrione, approfittando dell' assenza del marito impegnato in operazioni di guerra. Quando Giunone seppe che la donna aspettava un figlio da Giove giurò che avrebbe reso la vita del bimbo veramente difficile e cercò di ritardare il più possibile la nascita del piccolo. Un mattino Alcmena vide sulla porta della sua casa una strega che lanciava fiamme dagli occhi e urlava minacce. Questa strega, in realtà, era Giunone travestita! L'orrenda visione sconvolse la donna a tal punto che le fece ritardare il parto ed Ercole nacque solo dopo dieci mesi. Era bellissimo e forte, ma la madre, sapendo quanto era terribile l'ira della dea, non ebbe il coraggio di allevarlo e lo abbandonò in mezzo a un campo.

Gli strilli del neonato attirarono proprio l'attenzione di Giunone che, non sapendo chi fosse veramente il piccolo e trovandolo così grazioso, decise di prenderlo con sé e di allattarlo. Però Ercole intuì che la donna gli sarebbe stata ostile e le diede subito un tremendo morso che la fece urlare di dolore. Purtroppo la moglie di Giove conobbe ben presto la vera identità di quel bimbo che aveva raccolto e che ora viveva allevato come un dio. Decise allora di ucciderlo e mandò nella sua culla due velenosissimi serpenti perché lo divorassero. Ma Ercole era già in grado di dimostrare la sua forza straordinaria: senza la minima paura, afferrò i serpenti con le mani e strinse tanto che di lì a poco i due animali morirono soffocati. Quando fu adulto, il destino volle che Ercole diventasse lo schiavo del crudele re Euristeo il quale, sotto minaccia di morte, gli ordinò di cimenttarsi in dodici terribili prove che mai nessuno fino ad allora era stato in grado di superare. Ercole riuscì a superarle tutte, ma alcune gli costarono veramente uno sforzo sovrumano. Una delle più difficili fu l'uccisione dell'idra di Lerna. L'idra era un enorme drago con sette teste che fune stava la palude di Lerna poiché, quando era affamato, usciva dalle profondità del lago e divorava tutto il bestiame delle campagne circostanti. I contadini erano disperati e non avevano più cibo, ma non osavano ribellarsi per paura di essere mangiati. Per di più questo mostro era praticamente invincibile dato che, anche se le veniva tagliata di netto una delle teste con un colpo di  spada, subito gliene ricresceva un' altra più orripilante e sibilante che mai. Per distruggere questo drago Ercole prese delle frecce infuocate e le scagliò con il suo infallibile arco nella caverna dove l'idra si rintanava immobile per ore a digerire le sue numerose prede. Svegliato dalle frecce infuocate, il mostro uscì furente a vedere chi osasse attaccarlo. Quando vide il ragazzo armato di arco gli si avventò contro deciso a divorarlo, ma non aveva fatto i conti con la forza e l'abilità di Ercole. L'eroe infatti gli piantò un piede sopra la coda e riuscì a immobilizzarlo; poi brandendo un' enorme clava le staccò a una a una tutte le teste. Queste però ricrebbero subito ed Ercole allora capì che il seme delle teste dell'idra rimaneva dentro le ferite sanguinanti dei colli mozzati e che quindi le nuove teste rispuntavano come fanno gli arbusti sul­la terra coltivata. Allora accese un gran fuoco, prese un tizzone e lo tenne fermo sulle piaghe delle teste recise. Così riuscì a distruggere una volta per tutte la terribile idra di Lerna. Però prima di seppellirne il corpo intinse nel sangue avvelenato del mostro le sue frecce che divennero così delle armi micidiali. Un' altra delle sue fatiche portò Ercole in Elide. Chiunque si avvicinasse a questa regione su cui regnava il re Augia, rimaneva nauseato da un fetore pestilenziale che ammorbava l'aria e che proveniva dalle sue stalle. Re Augia possedeva moltissimi armenti che teneva rinchiusi in centinaia e centinaia di immense stalle. Avendo paura che glieli rubassero aveva proibito in modo assoluto ai contadini di ripulire le stalle dal letame: così nessuno avrebbe osato avvicinarsi. Erano più di trenta anni che queste stalle non venivano pulite.

Euristeo ordinò proprio a Ercole di farlo, ma era profondamente convinto che non avrebbe mai portato a termine l'impresa; e ne era sicuro lo stesso Augia che addirittura promise a Ercole, se ci fosse riuscito, un decimo del proprio bestiame. Ed Ercole superò la prova! Scorreva nei paraggi delle stalle il fiume Alfeo, pieno di acque impetuose. Il potente eroe deviò il corso di questo fiume, in modo che la corrente passasse proprio in mezzo alle stalle. Le acque giunsero violentissime e fecero ciò che nessun uomo avrebbe potuto fare: travolsero nel loro impeto montagne di letame e le stalle tornarono pulite. Quando Augia vide quel prodigio ne rimase molto infastidito, dal momento che ora era costretto a cedere parte degli armenti. A causa della sua avarizia non volle rispettare i patti. Allora Ercole, indignato lo uccise. Infine Euristeo, dopo che Ercole era riuscito a compiere tutte le undici prove precedenti, gli chiese addirittura di impadronirsi di uno dei doni che erano stati fatti a Giove e a Giunone per il loro matrimonio. Quando il re e la regina degli dei si sposarono, infatti, c'era stata una specie di gara fra tutte le gerarchie divine nell' offrire alla coppia i doni più preziosi. La Terra non aveva voluto essere da meno e aveva regalato degli alberi da frutto molto particolari: infatti ogni primavera sui loro rami nascevano delle mele d'oro. Questi alberi erano custoditi in un meraviglioso giardino affidato a quattro ninfe, le Esperidi, le quali avevano posto a guardia del cancello d'entrata un drago con cento teste. Ogni volta che qualcuno si avvicinava al giardino con l'intenzione di rubare i pomi, le teste del drago iniziavano a gridare con cento tonalità diverse e questo concerto orripilante cacciava anche l'uomo più coraggioso. Il giardino delle Esperidi si trovava nel Caucaso, ma Ercole non sapeva esattamente dove. Per sua fortuna si imbatté un giorno in Prometeo che, essendosi ribellato agli dei, era stato incatenato su una montagna e sottoposto a un terribile supplizio: infatti un' aquila gli divorava il fegato che subito gli ricresceva per essere divorato di nuovo.

Mosso da compassione Ercole liberò l'uomo che, per gratitudine, indicò all' eroe il modo per impossessarsi delle preziose mele senza correre pericoli. La tua forza e il tuo coraggio non bastano gli disse Prometeo. lo conosco bene chi ti può aiutare. È Atlante, il padre delle Esperidi, che ha così tanta forza da poter reggere sulle sue spalle tutto il peso del cielo. E mi aiuterà chiese Ercole. Certamente rispose l'altro se lo contraccambierai sollevandolo per un po' dall' enorme peso che deve sostenere ogni giorno. Da tempo vuole sgranchirsi le gambe e camminare libero, senza impicci. Offriti di tenere il cielo per lui e sarà lieto di andare a prendere per te i pomi delle Esperidi. E così avvenne. Ad Atlante non parve vero di levarsi di dosso quel peso immane e in meno di un' ora sconfisse il drago e ritornò da Ercole con il prezioso carico. Quando però l'eroe fece per riconsegnargli il cielo, Atlante si rifiutò di prenderlo dato che la passeggiata che aveva fatto nel profumato giardino delle ninfe e l'impresa contro il mostro gli avevano fatto apprezzare la libertà e la gloria. Perciò l'idea di tornare immobile a sostenere un carico di quel genere non gli piaceva affatto. Dunque disse bruscamente a Ercole: Non solo ti ho portato le mele che volevi, ma andrò anche a consegnarle a Euristeo. Rimani tu a sostenere il cielo, è tanto tempo che sopporto io quel peso. Ercole capì di essere caduto in un tranello e iniziò ad agire d'astuzia. Rispose allora: Hai perfettamente ragione. Inoltre sono certo che il re, se tengo questo carico, non mi darà più prove rischiose da superare, così starò tranquillo per qualche tempo. Solo proseguì -dovrei sistemarmi meglio questo peso sulla schiena, altrimenti non resisterò a lungo.Vedi, ho già le spalle un po' scorticate. Riprendi il cielo per un momento, il tempo necessario per prepararmi un cuscino con foglie intrecciate, paglia e teli di seta per sistemare un appoggio morbido su cui posare questo canco.Atlante accettò ingenuamente, posò le mele a terra e si riprese il cielo sulle spalle.

Rapido come un fulmine, Ercole afferrò i preziosi pomi, gridando: Atlante hai voluto ingannarmi, ma non ci sei riuscito. Ora tieniti il tuo fardello! E fuggì veloce verso Micene dove si trovava la reggia di Euristeo.
 
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