policoro
  Il mio nome è gomma
 
Il bambino di gomma era fortunato perché non si faceva mai male. Se cadeva correndo sul cemento, al massimo si grattava un po' le ginocchia, poi veniva via qualche pallino nero, come quando si cancella un pasticcio fatto a matita, e il bambino era a posto, e le ginocchia anche, lisce come prima, senza sangue, senza crostine da togliere che poi viene ancora fuori il sangue e si va avanti un pezzo. Se per caso sbatteva contro uno spigolo, rimbalzava indietro, e non gli veniva nemmeno un piccolo mal di testa. Se si schiantava in bicicletta giù da una discesa troppo ripida, si rialzava subito, e si poteva star sicuri che s'era fatta più male la bici, visto che quella non era di gomma, a parte le gomme. Il fatto di essere di gomma presentava parecchi vantaggi. Il bambino di gomma poteva andare a giocare dove voleva, senza mai dover chiedere il permesso alla sua mamma. E poteva fare i giochi più pericolosi, come scalare un cancello, andare coi pattini per la strada, o arrampicarsi su un albero. All'inizio per gli altri bambini era come un eroe, un supereroe capace di compiere qualunque impresa. Solo che siccome lui non si faceva mai niente, gli altri bambini dopo un po' smettevano di ammirarlo tanto: loro bastava che inciampassero in un sassolino e si ferivano le mani e le gambe, e lui niente. Non c' era nemmeno gusto. Per farsi ammirare, il bambino di gomma cominciò a fare cose sempre più difficili e pericolose, così difficili e pericolose che è meglio non dirle nemmeno, tanto se uno prova a immaginarle le capisce da solo. Ma c'era un problema, una cosa a cui non aveva pensato: è vero che non si faceva mai male, però è anche vero che tutte le volte che strofinava le mani, le braccia, la testa, il sedere, si consumava un po' , proprio come una gomma per cancellare. Epiù cose pericolose faceva, più si consumava. Un giorno la mamma lo guardò bene mentre facevano colazione e gli disse: Mi sembri un po' strano. E' come se fossi più piccolo. Ma dai, mamma, mettiti gli occhiali, le disse lui. Invece la mamma aveva ragione. Smise di farci caso, perché in effetti gli occhiali li doveva portare per vederci bene, ma non se li metteva mai perché era vanitosa e credeva di essere più carina senza. Così non si accorse che il bambino di gomma diventava sempre più piccolo, sempre più piccolo. Un giorno, a colazione, non arrivava nemmeno al tavolo. Il papà del bambino di gomma viaggiava molto, per lavoro. Lui però gli occhiali li portava sempre. E quando tornò da un viaggio durato tre mesi e sua moglie e suo figlio gli andarono incontro sulla porta di casa, lui non abbracciò sua moglie, ma si chinò verso il bambino di gomma e disse, in tono preoccupato: Ma come sei diventato piccolo! ­che è il contrario di quello che dicono di solito i grandi ai bambini. Però in questo caso era vero. Lo prese in braccio e gli disse: Adesso che sei così piccolo posso portarti in viaggio con me, se vuoi. Viene anche la mamma, così stiamo sempre insieme. E la scuola? disse la mamma con una vocina. Per la scuola pazienza, disse il papà. Imparerà di più girando il mondo. Saprà tante lingue. Le lingue sono importanti. E così la famiglia partì per lunghissimi viaggi di lavoro (del papà) intorno al mondo. Il bambino di gomma fece in modo di non consumarsipiù, giocava lo stesso, con i bambini che incontrava, ma stava attento a non farsi troppo male, che poi è quello che cercano di fare tutti. Imparò molte lingue. E fu felice, felicissimo di stare con il suo papà e la sua mamma, sempre. 
 
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