policoro
  L'uccello di fuoco
 
In un bosco di betulle, al limite settentrionale delle nevi perenni, viveva una volta un principe che era ossessionato da un sogno. Si era svegliato una mattina con impressa nella memoria una principessa più radiosa della luce del sole riflessa dall'acqua, e sapeva che non avrebbe più avuto pace, finché non l'avesse trovata.
Prese amorevolmente congedo dai genitori e partì da solo verso quelle desolate distese. Cavalcò per molti giorni, ma non incontrò anima viva durante il lungo viaggio. Poi una sera, mentre il sole stava tramontando, vide tra gli alberi un lampo di fuoco proprio sopra il suo capo. Abbagliato lo scambiò per un gioco di luce, finché il lampo non salì in volo, restando sospeso sopra di lui. Allora capì di aver trovato la Fenice, il leggendario Uccello di fuoco, nato dalle fiamme. L'Uccello di fuoco volò via, e il principe lo seguì, convinto che lo avrebbe guidato fino alla principessa dei suoi sogni. Quando, al crepuscolo, le ombre degli alberi si addensarono, vide davanti a sé un'alta parete di roccia che gli sbarrava la strada. L'Uccello di fuoco volò in alto e la superò, scomparendo dalla vista. Il principe smontò da cavallo e si inerpicò a fatica su quegli enormi, impervi massi che si allungavano nel cielo oscuro. Raggiunta la sommità, si trovò a fissare stupito il più strano giardino che avesse mai visto. Era selvaggio, coperto d'erbacce, e pieno di statue terrificanti. Alcune erano di mostri orrendi e deformi, altre, ancora più impressionanti, erano di giovani uomini che sembravano intrappolati nella pietra, con gli arti che davano l'impressione di lottare contro l'immobilità e le bocche che volevano gridare contro il silenzio. Tremando, il principe sollevò lo sguardo e vide, al di là delle statue, lo scuro profilo di un castello terrificante, stagliato contro il cielo che si dissolveva. Per un attimo il principe fu tentato dalla voglia di tornare indietro, ma proprio allora vide sotto di sé l'Uccello di fuoco che mangiava mele da un albero d'oro risplendente nell'oscurità.
Muovendosi silenzioso tra le ombre, afferrò la luminosa creatura prima che si accorgesse di lui. L'Uccello di fuoco si librò verso il cielo, ma il principe gli afferrò le zampe. L'Uccello gli conficcò allora nelle braccia gli artigli adunchi, gli colpì il viso con le ali dorate; ma il principe non abbandonò la presa. Alla fine si calmò e, con meraviglia del giovane, gli parlò con una voce simile a un concerto di campane d'oro. Alle prime luci dell'alba, la principessa si voltò e tornò lentamente indietro verso il castello. Quando le grandi porte furono chiuse, il principe tentò di seguirla, ma l'aria creava una barriera attraverso la quale egli non poteva passare. Disperato, il principe urlò e con la spada tentò di colpire i gradini di pietra. A un tratto il giardino risuonò di grida orrende; le statue di pietra cominciarono a muoversi e a camminare. Si affollarono intorno al principe e lo afferrarono con le mani ossute, con gli artigli mortali e coi tentacoli che lo avvinghiavano con forza. Si sentì un tuono e si vide un vivido lampo di luce.
Le porte si aprirono stridendo e dalla scala scese lo stregone, con occhi di ghiaccio e un'espressione d'ira nel viso emaciato. Rise, vedendo il principe, ma il suo era un riso crudele e beffardo. Sei venuto per la mia principessa gli chiese. Pensi forse di rubarmi lei, la più bella, la sola che ho scelto tra tutte come mia sposa. Il principe cercò di scagliarsi contro lo stregone, ma i suoi piedi restarono immobili. Come in un tremendo incubo, capì che stava diventando di pietra, e lottò con tutte le sue forze contro l'immobilità, contorcendosi grottescamente. Poi si ricordò dell'Uccello di fuoco. Con la sola mano che poteva ancora muovere, estrasse la penna dalla sua giubba e la agitò sopra il suo capo. In un attimo il grande Uccello era lì, e il suo piumaggio d'oro accendeva di bagliori il buio del giardino. Il potere magico dell'Uccello di fuoco era anche più forte di quello dello stregone. Levandosi in alto e precipitandosi in basso, mandò un incantesimo sullo stregone e su tutti i mostri e li fece cadere in un profondo e pesante sonno, mentre il principe fu di nuovo libero di muoversi. «Presto», disse l'Uccello di fuoco, L''incantesimo non dura a lungo. Scava dove io ti indicherò. Devi trovare la cassetta che contiene l'uovo in cui è rinchiuso il suo spirito. » Il principe scavò con la sua spada e quando questa si spezzò, continuò a scavare a mani nude, anche se le pietre acuminate lo ferivano. Quando le dita toccarono il coperchio liscio della cassetta di ferro, vide che i mostri già cominciavano a muoversi e che uno degli occhi dello stregone si era aperto.

Estrasse la cassetta dal suo nascondiglio, tentò di aprirla, ma era saldamente chiusa. I mostri erano ai suoi piedi e lo circondavano; e lo stregone sollevò le esili braccia, impugnando il suo magico bastone. Un fulmine lampeggiò e un tuono rotolò attraverso il cielo. Ma l'Uccello di fuoco volò sopra di lui e lasciò cadere una sua penna dorata sulla cassetta che si aprì. Il principe afferrò l'uovo, ma già i mostri gli erano sopra; egli lo sollevò e lo scagliò in alto, sopra le loro teste. Ogni mano, ogni artiglio, ogni tenace tentacolo si allungò per salvarlo, ma era troppo tardi. L'uovo cadde a terra, batté contro una roccia e andò in mille frammenti. Vi fu un ultimo terribile grido, e poi il silenzio. Lo stregone e i suoi mostri sparirono, come non fossero mai esistiti. Alle prime luci del giorno il giardino si era trasformato: gli uccelli cominciarono a cantare, i boccioli ad aprirsi. Le statue cominciarono a muoversi e a tornare uomini. Le porte del castello si aprirono e ne uscirono le dodici principesse che corsero via, ridendo felici, ognuna sposa promessa del principe che l'amava. Dietro di loro giunse la principessa più amata di tutte.

Quando il principe la strinse tra le braccia, l'Uccello di fuoco si librò in aria sopra di loro, luminoso come il sole rosso oro che ora sorgeva sopra la linea dell'orizzonte.
 
 
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