9. Registro di Imbreviature del notaio Adamo De Citella (1298-’99), uno dei tre superstiti esemplari di registro notarile del XIII secolo in Sicilia; in esso sono trascritte le "minute" degli atti stipulati fra Comune e privati. È il documento più antico conservato nell’Archivio storico.
9. Register of Imbreviature (1298-9) by notary Adamo de Citella, one of the three extant notarial registers from thirteenth-century Sicily. |
Nei primi anni dall’unificazione d’Italia, quando il Comune di Palermo intraprese la riorganizzazione del proprio archivio, l’iniziativa ben si inquadrava in un momento storico caratterizzato dalla generale aspirazione ad un rinnovamento delle istituzioni e, come venne rilevato dai cultori delle discipline archivistiche, in questo clima non mancò di manifestarsi persino un interesse specifico alla tenuta degli archivi, dimostrato anche dai precisi riferimenti contenuti nella legislazione. In Sicilia, peraltro, esisteva un sostrato già fertile, dacché il governo borbonico nel 1843 aveva promulgato la legge organica sugli archivi, con la quale, tra l’altro, si trasformava l’Archivio generale istituito nel 1818 in Grande Archivio (poi Archivio di Stato di Palermo). |
La documentazione prodotta dal Comune nel corso dei secoli si trovava ammassata in diversi ambienti del Palazzo municipale, e uno dei primi problemi da risolvere apparve subito quello della sede, insieme con quello della direzione dell’istituto, da affidare, previo concorso, a una persona colta e qualificata. All’Archivio furono così assegnati i locali del convento di San Nicolò da Tolentino (sede che tuttora mantiene in Via Maqueda, n. 157), e ne fu nominato direttore, nel 1866, Fedele Pollaci Nuccio, che già frequentando il Grande Archivio, seguendo l’insegnamento ivi istituito della paleografia, e collaborando alla schedatura degli antichi fondi pergamenacei, aveva dimostrato interessi, per allora quasi pionieristici, per queste discipline.
Per descrivere e illustrare ora il patrimonio documentario posseduto dal Comune di Palermo, ci si ritrova a seguire il percorso ideologico, culturale e professionale del Pollaci Nuccio, che negli oltre trent’anni della sua direzione, applicando la corretta metodologia scientifica del riordinamento, restituì all’Archivio la sua struttura originaria e lo rese accessibile alla ricerca storica.
Quello che egli chiamò il "coordinamento" delle scritture, e che noi definiamo "ordinamento" o "riordinamento", consiste nell’applicazione del cosiddetto metodo storico, per il quale la documentazione di un ente deve essere ricomposta nello stesso ordine creatosi all’atto della produzione di essa. L’archivio nasce e cresce, infatti, contemporaneamente all’ente, e, attraverso una o più serie di atti che procedono in parallelo, rispecchia l’effettiva esplicazione dei compiti a quello assegnati, e ancora le sue vicende, la sua evoluzione, gli eventuali mutamenti nella sua costituzione e nella sua struttura.
Il tempo ritrovato
Miguel de Unamuno ricorre alla metafora della storia quale mare largo e profondo in cui la vita scorre silenziosa e continua come l’acqua degli alti fondali marini; gli avvenimenti "di superficie" ne costituiscono solo la parte emergente e visibile, ma esiste l’altra storia che spesso non ha voce. In realtà, attraverso i documenti che si conservano nell’Archivio storico di Palermo, riaffiorano nomi e storie di gente comune che certamente non trovano cittadinanza nella grande storia di avvenimenti, ma solo nella vita infra-storica delle carte d’archivio: leggendo le Proviste, come anche sfogliando le pagine dei Bandi, delle Consulte o di altre serie archivistiche, si percepisce distintamente lo straordinario potere fabulatorio dei documenti: ci parlano, ci offrono una miriade di notizie sui mille problemi e accadimenti della vita della città.
La sala di studio annessa all’Archivio è giornalmente frequentata da tutti coloro che, attraverso le fonti documentarie, ripercorrono le tappe di una memoria collettiva con la quale deve necessariamente confrontarsi chiunque tenti di individuare e riannodare quei fili invisibili che legano passato e presente. Tutta la documentazione conservata nell’Archivio è liberamente consultabile, in armonia con quanto prescritto dalla vigente legislazione archivistica.
A questo proposito, occorre osservare che la conservazione-trasmissione della documentazione originale prodotta da un ente pubblico è stata ab origine e nel corso dei secoli strettamente legata ai modi di esercizio del potere, di cui essa costituisce diretta espressione. Non a caso, infatti, gli "archivi segreti", inaccessibili se non agli stessi titolari della documentazione (intesi, quindi, come "memoria-autodocumentazione", non già come "memoria-fonte", per usare la distinzione proposta da Isabella Zanni Rosiello), sono tipici di periodi storici in cui imperano forme autoritarie di governo: valga per tutti l’esempio degli archivi dei regimi assoluti di epoca seicentesca, nei quali la funzione giuridica prevale su quella culturale, e la documentazione viene essenzialmente considerata instrument mis à disposition du pouvoir (R. H. Bautier). Dalla prospettiva delle classi subalterne, viceversa, un riflesso di tale concezione dell’archivio quale luogo-simbolo, roccaforte dei privilegi delle élites egemoni, si coglie in occasione di tumulti e sommosse, quando, tradizionalmente, vengono dati alle fiamme, magari sulla pubblica Piazza o negli stessi palazzi del potere, i documenti che di quei privilegi e di quel potere sono espressione e testimonianza. Il problema del controllo della memoria storica, quindi, è stato sempre collegato a scelte politico-culturali, le quali hanno variamente influito anche sul valore e sul ruolo di volta in volta attribuito agli Archivi.
In una civiltà come la nostra, che tende ad annullare le barriere spazio-temporali e, assieme, quelle ideologiche e culturali, non ha ormai più senso parlare di memoria storica inaccessibile e segregata. Oltretutto, le nuove applicazioni informatiche hanno dilatato le possibilità di fruizione di un bene culturale come quello archivistico, finora fortemente penalizzato dalla difficoltà e lentezza di una ricerca effettuata col solo supporto di vecchi inventari cartacei. Sembrano, dunque, aprirsi nuove e migliori prospettive per questo tipo di studi.
Un altro dato positivo è da registrare, in particolare nella nostra città, dove è in continua crescita l’esigenza di riscoprire i luoghi, l’arte, la cultura di un passato comune e di una identità collettiva. Riconoscersi come città significa anche indagare sulla propria storia e recuperare le proprie tradizioni. L’Archivio storico di Palermo ha recentemente cercato di venire incontro a questa domanda culturale organizzando, nell’imponente cornice della Sala Almeyda, delle mostre storico-documentarie, a cura del personale interno, concepite come "itinerari della memoria" (così si intitola anche la nuova collana di Quaderni dell’Archivio che, parallelamente, ha visto la luce). Per molti che non avevano mai avuto occasione di conoscere questa realtà, forse si è trattato di viaggi iniziatici nei "misteri" dell’Archivio; per altri, di un modo per acquisire maggiore consapevolezza delle radici e delle ragioni di feste e riti cittadini ancor oggi attuali.
Non a caso, infatti, ogni mostra è stata collegata ad un evento rilevante in ambito urbano: Il Seicento e il primo Festino di Santa Rosalia (luglio 1996) ha tentato, attraverso la scelta e l’esposizione di originali seicenteschi, una ricostruzione filologica delle origini del culto della santa, sfrondandolo delle leggende: la mostra L’Immacolata e il rito delle cento onze (dicembre 1996) è risalita al 1624, anno della terribile peste, per ricercare i motivi della straordinaria vitalità del plurisecolare rito, che da allora, ogni anno ininterrottamente, si ripete, la sera del 7 dicembre, nella basilica di San Francesco d’Assisi; la mostra Il Teatro Massimo cento e più anni fa, infine, organizzata per il centenario del Massimo (16 maggio 1997) e per la sua riapertura, ha proposto, sempre tramite la documentazione amministrativa e gli elaborati grafici ad essa allegati, una rilettura in chiave archivistica della tormentata vicenda del concorso internazionale per la scelta del progettista del teatro.
Parallelamente a queste manifestazioni, tese a promuovere anche presso il pubblico dei non specialisti la conoscenza del patrimonio documentario, l’Archivio storico continua, ovviamente, le sue attività istituzionali, che si concretizzano essenzialmente in tutte quelle iniziative finalizzate ad assicurare la migliore conservazione-fruibilità dei fondi: dagli interventi di restauro all’inventariazione di serie non ancora ordinate; dall’edizione paleografico-diplomatica delle fonti (è uscito nel ’96 il XII volume degli Acta Curie felicis Urbis Panormi) all’attività didattica per scolaresche, gruppi, associazioni (visite guidate, audiovisivi, ecc.).
Attraverso il dialogo aperto con la città, attraverso le attività scientifiche o divulgative, l’Archivio storico cerca di realizzare un suo nuovo ruolo, al passo con i tempi, proponendosi come referente culturale, luogo della memoria in cui i due poli del binomio passato-presente si confrontano e si arricchiscono l’un l’altro, dialetticamente.
Eliana Calandra
Direttore dell’Archivio Storico
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Il Pollaci aveva ben chiara anche la consapevolezza della necessità che il riordinatore conoscesse la storia dell’ente produttore dell’archivio. La Relazione che nel 1872 egli indirizzò all’Amministrazione comunale, intitolata Dello Archivio comunale, suo stato, suo ordinamento (ripubblicata, a cura di Pietro Gulotta, nel 1967), è un quadro di storia istituzionale, che, insieme all’analisi storico-diplomatica della varia tipologia dei documenti da lui premessa a Gli atti della città di Palermo dal 1311 al 1410 (il primo e unico volume, pubblicato nel 1892, è stato ristampato anastaticamente nel 1982), costituisce un capitolo fondamentale degli studi siciliani di diplomatica e archivistica, ed è chiave di accesso indispensabile per chi si accinge a intraprendere ricerche nell’Archivio comunale. Da qui, inoltre, hanno preso l’avvio le aggiornate indagini dei curatori dei volumi della serie denominata Acta Curie felicis urbis Panormi, che ci propone l’edizione degli atti più antichi presenti nell’Archivio, offrendoci, con i volumi sino ad ora pubblicati, il testo integrale di documenti che vanno dai primi del ’300 ai primi del secolo successivo.
Purtroppo, come già era apparso a storici e cronisti del ’600 e ’700, le testimonianze documentarie possedute dall‘Archivio, che all’origine comprendevano materiale dei primi del XIII secolo, non risalgono, ora, oltre la fine dello stesso secolo, ed anche per quest’epoca si tratta, come si vedrà oltre, di materiale isolato e frammentario; le serie acquistano una certa organicità e continuità solo a partire dal secondo trentennio del ’300.
In questo periodo, l’Amministrazione del Comune di Palermo (Universitas felicis urbis Panormi) era già abbastanza complessa, essendo retta da un insieme di organi e di cariche, quali i giurati, i giudici, il pretore (poi sindaco), gli organi giudiziari e altri organi minori, che esercitavano una somma di poteri e di competenze. Ogni provvedimento, da qualsiasi autorità municipale fosse preso, era redatto per iscritto, e il testo ne era riportato, a cura di un funzionario del Comune, chiamato Maestro notaro, in registri cartacei. Anche il testo degli atti in entrata, cioè le lettere indirizzate al Comune da parte del sovrano, di altre autorità e da privati, veniva integralmente trascritto. All’inizio, i registri costituirono una serie unica; poi, con l’aumento dei compiti degli uffici e con il moltiplicarsi delle cariche, si tennero contemporaneamente più registri, che quindi vengono a formare serie cronologicamente parallele.
La serie che comprende i registri più antichi, dall’anno 1311, è quindi quella degli Atti, bandi e provviste, il cui contenuto è il più vasto e vario poiché riporta gli atti emanati dal Senato su qualsiasi materia e anche gli atti provenienti dagli organi giudiziari comunali, oltre, come accennato, alla corrispondenza in entrata. I Bandi, in particolare, costituivano il mezzo di pubblicazione delle disposizioni delle autorità; le Proviste sono, alla lettera, "provvedimenti" presi su richiesta di privati. La serie dei Consigli civici ha inizio dal 1446: sono i verbali delle riunioni dell’organo costituito dai giurati e dalle persone notabili della città, cui spettava prendere decisioni in materie di particolare importanza, come imposizione di tributi e spese straordinarie. Esso fu sostituito nel 1818 dal Decurionato, che emetteva atti chiamati Deliberazioni.
Altre serie di scritture vengono indicate con denominazioni che oscillano tra il latino (lingua ufficiale della pubblica amministrazione) e il volgare dell’epoca. Così, i Penes acta sono costituiti da documentazione in originale allegata alle varie pratiche, mente le Burrature sono minute di atti; ma quest’ultima serie è di particolare interesse poiché vi si trovavano testimonianze relative alle corporazioni di arti e mestieri. Le Consulte sono pareri, relazioni, rapporti che stanno alla base dei provvedimenti presi dal Senato. Tutte le attività si svolgevano secondo rigide formalità e rituali, minutamente descritti nei Cerimoniali.
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10. Uno dei 350 volumi del Libro Universale del Patrimonio Comunale (1673), dove venivano registrate le spese di acquisti e vendite.
10. One of the 350 volumes of the Universal Book of the Municipal Patrimony (1673), in which expenses relating to purchases and sales were registered. |
11. Pergamena del 1392 nella quale i sovrani aragonesi concedono il perdono al ribelle Andrea Chiaramonte, restituendogli il possesso dei beni. In realtà, si trattò di un inganno: nello stesso anno, il barone fu decapitato davanti al suo palazzo, lo Steri, nell’odierna Piazza Marina.
11. Parchment from 1392 in which the Aragonese sovereigns grant a pardon to the rebel Andrea Chiaramonte, restoring his property to him. Actually, it was a trick: in the same year, the baron was beheaded in front of his mansion, the Steri, in what is now Piazza Marina. |
La documentazione sopra descritta copre per lo più l’arco di tempo compreso tra la fine del ’500 e i primi dell’800. Quella prodotta a partire dal 1818 – momento in cui avviene una radicale trasformazione delle forme di produzione documentaria e di tenuta degli atti, ora molto più simili a quelle odierne – venne raccolta a parte, in una sezione denominata "archivio di corrispondenza".
12 Pagine dei Capitoli della Maestranza dei Cappellieri (1774), con illustrazioni dipinte a tempera; vi sono citati i nomi delle famiglie di questi artigiani e raffigurati i relativi stemmi.
12, 13. Pages from the Chapters of the Hatters’ Guild (1774), with tempera illustrations; in it there are mentioned the names of the families of the artisans and the relative blazons are shown (12). In photo 13, the Eagle which is the symbol of Palermo. |
13, l’Aquila simbolo di Palermo. |
14. Dal Libro del Giuramento all’Immacolata, che contiene i giuramenti fatti dai pretori e (dall’Unità) dai sindaci della città: stemma araldico del barone Angelo Porcari, 1862
14. From the Book of the Oath of the Immaculate Virgin, containing the oaths sworn by the praetors and (since the unification of Italy) by the mayors of the city: heraldic coat-of-arms of Baron Angelo Porcari 1862. |
15 Dal Libro del Giuramento all’Immacolata, che contiene i giuramenti fatti dai pretori e (dall’Unità) dai sindaci della città: stemma del marchese Pietro Ugo, firmato Salvatore Gregorietti, 1895.
15. From the Book of the Oath of the Immaculate Virgin, containing the oaths sworn by the praetors and (since the unification of Italy) by the mayors of the city: of Marquis Pietro Ugo signed Salvatore Gregorietti 1895. |
16. Dal Libro del Giuramento all’Immacolata, che contiene i giuramenti fatti dai pretori e (dall’Unità) dai sindaci della città: stemma del marchese Antonio Starrabba di Rudinì, 1863.
16. From the Book of the Oath of the Immaculate Virgin, containing the oaths sworn by the praetors and (since the unification of Italy) by the mayors of the city: and of Marquis Antonio Starrabba di Rudinì 1863. |
Di notevole consistenza è anche la documentazione di carattere finanziario e contabile, strettamente collegata con quella politico-amministrativa, in quanto era sempre il Senato che regolamentava le entrate e le spese. Le entrate consistevano essenzialmente nel ricavato delle imposizioni indirette, chiamate gabelle (nel ’800, dazi), che gravavano su ogni possibile cespite: sui generi commestibili (pane, carne, vino, olio), sulle merci commerciate per mare, sulla seta, sulla legna, sugli schiavi, sulle pelli, sulla neve, e così via. Tra le serie di scritture, possiamo ricordare il Libro universale del patrimonio (registri di entrate e uscite), le Cautele (documenti su cui si basavano crediti e debiti), le Significatorie (notifiche di debito), tutte con inizio dai primi del ’600; e, di grande interesse, il cosiddetto "archivio delle acque" (collegato con una Deputazione che amministrava le acque di proprietà dl Comune, Gabriele, Uscibene, Papireto, Garraffello e altre); e ancora, le Vendite col privilegio delle strade Toledo e Maqueda, pratiche originate dai vincoli posti dal Senato sugli immobili ricadenti nelle aree di ampliamento del Cassero ("strada" Toledo) e di apertura della "strada" Maqueda.
Anche l’amministrazione della giustizia era competenza della città, sia pure limitatamente al primo grado di giudizio. Essa veniva esercitata attraverso la Corte pretoriana e la Corte capitaniale, competenti rispettivamente per la materia civile e per quella penale. Trasferite nel Grande Archivio, per disposizione della legge del 1843, le scritture della Corte pretoriana, alcuni frammenti di registri trecenteschi dello stesso organo, reperiti successivamente, nel corso della riorganizzazione dell’Archivio comunale, vengono ora pubblicati negli Acta curie.
17. Lettera di Garibaldi al popolo palermitano nella quale si definisce "figlio di Palermo". È del 5 aprile 1882, sesto centenario dei Vespri siciliani.
17. Letter from Garibaldi to the people of Palermo, in which he defines himself a "son of Palermo". The date is 5 April 1882, that of the sixth centenary of the Sicilian Vespers. |
18. Album dei Mille sbarcati a Marsala l’anno 1860, edito nel 1865 con le fotografie di Alessandro Pavia.
18. Album of the Thousand who Landed at Marsala in the Year 1860, published in 1865 with photos by Alessandro Pavia. |
Sono conservate in serie a parte, e costituiscono il cosiddetto Tabulario, alcune decine di pergamene, superstiti di un nucleo all’origine molto più consistente, purtroppo andato parzialmente distrutto durante la rivolta del 1866. Ne facevano parte privilegi, esenzioni, prerogative varie concesse alla Universitas da autorità superiori, quali pontefici, sovrani, imperatori; i diplomi erano scritti su pergamena – materia scrittoria particolarmente resistente – proprio a garanzia del perpetuo godimento della concessione. Il documento più antico tra quelli rimasti risale appena al 1337, ma sappiamo che la raccolta originaria aveva inizio all’epoca di Federico II imperatore. E se per quanto riguarda il testo dei documenti, anche di quelli perduti, lo studioso può fare ricorso sia a compilazioni manoscritte, come il famoso codice miniato quattrocentesco Privilegia urbis Panormi, conservato alla Biblioteca comunale, sia a edizioni a stampa, come quella, notissima, di M. De Vio, Felicis et fidelissimae urbis Panormitanae privilegia (Panormi 1706), certamente nessuna trascrizione ci potrà restituire le caratteristiche del documento originale con la scrittura dell’epoca, le sottoscrizioni autografe, i sigilli.
Il registro cartaceo del notaio palermitano Adamo de Citella, degli anni 1298-99, uno dei tre registri del secolo XIII superstiti in Sicilia, è forse il più noto tra i cimeli conservati nell’Archivio del Comune, anche perché nel 1982, in coincidenza con le celebrazioni del centenario del Vespro siciliano, ne è stata pubblicata l’edizione completa. La trascrizione facilita molto la consultazione da parte degli studiosi; ma essi potranno senza difficoltà esaminare, all’occorrenza, anche l’originale, le cui carte, danneggiate dall’umidità e dai tarli, recentemente sono state sottoposte a un complesso intervento di restauro che ne ha fermato il degrado ed ha restituito loro consistenza e leggibilità.
Dagli anni del notaio Citella fin quasi ai giorni nostri, l’Archivio storico del Comune è fonte primaria e insostituibile per la conoscenza della vita della città, e ben lo sanno gli studiosi, specialisti delle varie epoche e delle diverse discipline che ad esso hanno attinto e attingono per qualsiasi indagine che necessiti del supporto e del sostegno della prova documentaria. E secondo il periodo storico e l’oggetto della ricerca, sarà necessario conoscere la normativa che, volta a volta, dal Medioevo all’Età moderna, dalla Restaurazione all’Unità, determina l’organizzazione giuridica e amministrativa del Comune, ne regolamenta l’assegnazione e lo svolgimento di compiti e attribuzioni.
Ancora, è necessario conoscere la paleografia, per potere correttamente leggere i testi originali dei documenti (sia pure con la facilitazione, per il periodo più antico, delle citate edizioni a stampa), e anche la diplomatica, per poterne valutare e classificare provenienza, caratteristiche, autenticità. Il ricercatore che si accosta munito di questi indispensabili strumenti critici vedrà i suoi sforzi ampiamente compensati dalla larga messe di testimonianze e di notizie che registri, faldoni o fascicoli dell’Archivio, sfogliati e studiati con dedizione e pazienza, saranno in grado di offrirgli
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