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insegna che ogni singolo essere vivente è un’anima eterna e indipendente, responsabile dei propri atti. I giainisti ritengono che il loro credo insegni all’individuo come vivere, pensare e agire in modo tale da rispettare e onorare la naturale spirituale di ogni essere vivente. Dio è concepito come l’insieme dei tratti immutabili dell’anima pura, come signore fra le anime poiché rappresenta l’infinita conoscenza, percezione, coscienza e felicità. L’universo stesso è eterno, non avendo né inizio né fine. Le figure principali sono le Tirthankaras. Il giainismo ha due principali varianti: il digambar e il shvetambar. I fedeli credono in principi quali l’ahimsa, l’ascetismo, il karma, il samsara e il jiva. Esistono molte scritture sacre redatte in un periodo di tempo molto lungo. Molti seguaci ritengono che il testo religioso principale sia il Tattvartha sutra, o Libro delle realtà, scritto 18 secoli fa dal monaco e intellettuale Umasvati. Predicando un’assoluta non-violenza, il giainismo prevede una forma estrema di vegetarianesimo: la dieta del fedele esclude anche molti vegetali e persino l'acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. E’ fatto divieto di mangiare, bere e viaggiare dopo il tramonto ed è invece necessario alzarsi prima dell’alba. Con i suoi 8-10 milioni di fedeli, il giainismo è una delle più piccole fra le maggiori religioni mondiali. Vi sono 6.000 monache e 2.500 monaci, molti dei quali fanno riferimento alla corrente shvetambar. Malgrado il numero esiguo rispetto al totale della popolazione, in India i gianisti occupano posizioni importanti nel mondo degli affari e in quello della scienza. Godono anche di una certa importanza nella cultura indiana, avendo contribuito in modo significativo allo sviluppo della filosofia, dell’arte, dell’architettura, della scienza e della politica dell’intero paese . Fra i templi più belli e importanti vi sono il Dilwara presso il monte Abu e il Bhagwan Adinath Derasar, quest’ultimo di recente costruzione e situato nella città di Vataman. Il giainismo è molto praticato nella regione del Punjab, specialmente nella città di Ludhiana. C’erano molti giainisti anche nella città di Lahore che, con la divisione fra India e Pakistan nel 1947, hanno preferito emigrare nella sezione indiana della regione. Le due principali ramificazioni del gianismo ebbero origine 200 anni dopo la morte di Mahavira. Bhadrabahu, capo dei monaci, previde un periodo di carestia e condusse circa 12.000 fedeli nell’India meridionale. Venti anni più tardi, questi fecero ritorno e scoprirono che i giainisti che non vollero lasciare la loro terra avevano creato la setta shvetambar. Fu così che i seguaci di Bhadrabahu furono noti come digambara. La mano alzata esorta il credente a fermarsi a riflettere prima di compiere qualunque azione; la mano contiene una ruota, che sta per l'eterno ciclo delle rinascite, la quale a sua volta racchiude la parola Ahimsa. Il Giainismo è una religione molto antica che come il Buddhismo affonda le proprie radici nella tradizione induista, dalla quale si distinse in seguito a un movimento di riforma rispetto all'ortodossia vedica e brahmanica. I grandi maestri riconosciuti da questa religione sono ventiquattro: l'ultimo Jina fu Vardhamana e visse nel VI-V secolo a.e.v., più o meno contemporaneamente al Buddha. Secondo la tradizione, Vardhamana nacque da una famiglia nobile e, a vent'otto anni, lasciò la moglie e la figlia per dedicarsi alla religione e alle pratiche ascetiche. Raggiunse l'illuminazione interiore, rifondò la comunità giainista e morì di digiuno a settantadue anni. Nel I secolo e.v. la comunità giainista si scisse in due correnti principali: i Digambara, più conservatori, secondo i quali i monaci dovevano vivere completamente nudi, e gli Svetambara, che accettavano che i monaci indossassero una veste bianca.
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